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martedì 20 febbraio 2007

Don Matteo e Gubbio: simbiosi mediatica e marketing territoriale

“In pochi altri casi, la scenografia e l’ambientazione di una città hanno inciso così tanto nell’identità e nel successo di una produzione cinematografica”.

A parlare è Andrea Jacchia, manager della casa di produzione Lux Vide, dopo la prima edizione di “Don Matteo”, la popolare fiction Rai girata in una delle più suggestive città medioevali dell’Umbria.

Da “Umbriafiction” a Terence Hill

Gubbio e “Don Matteo”, Gubbio e la fiction. Non proprio degli sconosciuti, se è vero che per tre anni (dal 1991 al 1993) la Rai presieduta da Enrico Manca sceglie proprio questo angolo del “cuore verde d’Italia” per organizzare “Umbriafiction”, il primo festival dedicato alle produzioni per il piccolo schermo (oggi diventato Premio S.Vincent, con la consegna delle “Telegrolle”): una felice passerella di volti noti e meno noti del parterre internazionale, che proietta la piccola cittadina umbra nei circuiti mediatici di tutto il mondo, trasformandola per una settimana in una sorta di Hollywood in miniatura.
L’incantesimo dura poco, il “destriero” di via Mazzini – con il suo establishment - viene travolto da “Tangentopoli”, non meno pesantemente dei sui mentori politici.
E così, suo malgrado, Gubbio vede sfumare una vetrina fino a qualche anno prima insperata.
Il digiuno si protrae per pochi anni. E’ il 1998 quando una nuova fiction fa capolino. Stavolta non si tratta di una passerella luci e paillettes.
Il protagonista è un inedito Terence Hill che sveste i panni western, stereotipo del cinema “sorrisi e cazzotti” anni ’70, e indossa una più quieta tunica nera, quella di un instancabile prete-detective di periferia.
All’anagrafe della fiction è Don Matteo Bondini, un ex missionario dal talento un po' speciale. Il suo straordinario intuito, unito alla profonda conoscenza dell'animo umano, lo guida con successo nei più tortuosi meandri del delitto. Al suo fianco, nella scena e nelle indagini, una simpatica e assortita coppia di carabinieri, il maresciallo Cecchini (il già noto Nino Frassica) e il Capitano Anceschi (Flavio Insinna, che si consacra al grande pubblico, dopo apprezzabili ruoli in altre fiction).
Strano a dirsi, ma per 8 anni saranno loro i più prestigiosi ed efficaci testimonial dell’immagine della cittadina umbra: un rapporto di simbiosi che si traduce non solo in un familiare ambientamento della troupe con la comunità locale, ma in un fenomeno mediatico senza precedenti, con un ritorno di popolarità e di flussi turistici per Gubbio e il suo territorio che i numeri sintetizzano da soli: tra il 1998 e il 2005 le presenze turistiche crescono in media di oltre il 60% (da 130.000 a 215.000, con un picco di 250.000 nel 2002): difficile dire sia tutto merito di “Don Matteo”, impossibile pensare che non ci sia comunque il suo “zampino”.
Il fenomeno, d’altronde, non si limita a Gubbio, ma è tipico di una regione che in pochi anni assume i connotati di una piccola Cinecittà. Città della Pieve, ad esempio, dopo l’arrivo di “Carabinieri” (fiction Mediaset di stanza da 6 anni) vede il trend di visitatori schizzare dai 17.000 del 1999 agli 80.000 nel 2005.
«L’audiovisivo è un potente strumento di animazione economica del territorio - conferma Cristina Giubbetti, coordinatrice di Umbria Film Commission, l’agenzia regionale per l’organizzazione logistica di produzioni video, nata, guarda caso, sette anni fa e oggi presieduta dall’assessore regionale allo Sviluppo economico, Giovannetti.
L’altra faccia della medaglia – in questo prodigioso volano generato dal tubo catodico – è meno gratificante: per moltissimi di questi nuovi turisti, l’Umbria - ricca di misteri, tesori artistici e architettonici, personaggi di primo piano della storia e della cultura – è ora innanzitutto la terra delle fiction.
E pensare che Gubbio, la città che fu di Oderisi – vanaglorioso miniaturista cantato da Dante nel Purgatorio – e di Mastro Giorgio – il più celebre ceramista del ‘500, inventore del “lustro” – ne avrebbe di perle da mostrare. Ma fuori dai grandi circuiti viari (non c’è autostrada più vicina di 80 km e perfino la ferrovia ne dista oltre 20), collegata male perfino con “sorella” Assisi con cui condivide la parabola del Poverello (ma non il milione di forestieri che ogni anno ivi soggiorna), è stata costretta per anni a vivere un transito turistico irrisorio. Una stella nel firmamento dell’Umbria che, sul fronte turistico, appare costretta a splendere di luce riflessa, rispetto ai numeri di altre località della regione, da Orvieto a Spoleto, al lago Trasimeno.

Troupe e città: colpo di fulmine

Tutto questo fino a “Don Matteo”. Somiglia ad un sussulto che rompe la quiete quotidiana, il fax che in un pomeriggio di primavera del 1998 arriva da Roma: mittente Lux Vide (casa di produzione di fiction). La richiesta è di verificare la possibilità di ambientare a Gubbio un nuovo sceneggiato. “In un ufficio del comune – racconta Paolo Salciarini, responsabile dell’ufficio Beni Culturali della Diocesi e, di lì a poco, location manager della troupe Lux Vide - arrivò un fax dalla casa di produzione romana. Capimmo presto che non si trattava di una richiesta qualsiasi”. Salciarini ricorda come la bellezza e il fascino medioevale della città - i suoi angoli minuti e quasi timidi, la pietra conciata e bugnata di quello che fu uno dei Comuni protagonisti del medioevo, poi seconda patria degli urbinati Montefeltro - conquistano subito i responsabili della produzione.
E uno dei motivi della scelta definitiva (la città era in "lizza" con altri quattro centri storici) è legato ad un luogo particolare: il complesso di San Marziale, un ex-monastero incastonato nel quartiere di S.Andrea, con la sua chiesa angusta e suggestiva, ma anche con i vasti locali adiacenti che si prestano per realizzare la canonica, la cucina, lo studio e lasciare spazio anche ai camerini e alla sartoria. L’ultimo pertugio lapideo, dove un turista “fai da te” avrebbe la tentazione di avventurarsi, diventa forse l'elemento discriminante nella scelta della città come location. Con un escamotage cinematografico, noto solo agli eugubini: quello che sarebbe divenuto lo sfondo più emblematico della fiction (la canonica di Don Matteo) avrebbe avuto come interno la chiesa di San Marziale ma come esterno la chiesa di S.Giovanni (che dista circa 1 chilometro, in tutt’altra parte del centro storico).
Enrico Oldoini (nella foto a fianco), ideatore del format di “Don Matteo” e regista della prima serie, si innamora a prima vista della "pietra" di Gubbio e riesce con la macchina da presa a scovare inquadrature e prospettive così originali e suggestive da far riscoprire agli eugubini stessi la nuda e autentica bellezza della propria città.
Il primo ciak di “Don Matteo” (che originariamente si sarebbe dovuto intitolare "Il diavolo e l'acqua santa") avviene nella chiesa di San Giovanni il 18 ottobre 1998.
Una fiction dalla sceneggiatura semplice, che racconta la vita di una cittadina della periferia umbra, con i suoi piccoli intrighi, la sua cronaca nera – perfino eccessiva per la realtà quotidiana di Gubbio – ma anche la sua spontanea umanità, fatta di botteghe, artigiani, gente che si saluta per strada. Dove è normale ancora vedere un parroco in bici affiancare un capitano dei Carabinieri e il fido maresciallo, nel volgere delle indagini.
E dove, allo stesso tempo, nei primi mesi di lavoro della troupe, capita di osservare anziane signore, ignare del ciak, domandarsi di chi possa essere quel funerale alla chiesa di S.Giovanni, allarmarsi per una rapina (girata 5 o 6 volte) all’ufficio postale, o chiedere al milite di passaggio (una comparsa) di prestare aiuto per parcheggiare l’auto.
“Non potevamo essere certi che sarebbe stato un successo – ammette dopo la prima serie, lo stesso Oldoini – ma una bella mano ce l’hanno data questa città e questa atmosfera, così intimamente familiari”.
“Buona parte del merito del successo di “Don Matteo” va agli eugubini – confida Flavio Insinna (nella foto a lato), nel corso della trasmissione “Linea diretta a tu per tu”, sull’emittente locale Trg – Si è creato un clima di complicità tra la troupe e questo ambiente, che non è sempre così scontato. Altrove, il nostro lavoro è una scocciatura per chi deve condividere con noi spazi e tempi. A Gubbio non c’è stata casa o famiglia che non ci abbia offerto ospitalità, cortesia e spesso anche soluzioni logistiche dell’ultim’ora” (corrente elettrica, qualche oggetto scenografico, per non parlare delle comparse).
Un feeling che trova riscontro anche a livello istituzionale: fin dal 2002 Terence Hill presta (gratuitamente) la propria immagine in tonaca e bici per la campagna del Comune a favore della raccolta differenziata. Nel 2005 viene lanciata addirittura la guida turistica di Gubbio prendendo spunto dai “luoghi di Don Matteo”.
La fiction, dunque, diventa strumento di marketing territoriale.

Dai precedenti illustri alla “consacrazione”

E dire che il rumore della cinepresa (quella maiuscola), le ispirazioni di un regista (tra i maestri), i ciak d’autore (tra i più celebri) non erano certo estranei a queste mura. Trent’anni prima proprio Gubbio aveva vestito i panni di protagonista, niente meno che con Franco Zeffirelli: diventando prima Verona in “Romeo e Giulietta” (1967) e quindi Assisi in “Fratello sole, sorella luna” (1971).
Ma erano altri tempi, e la mano del maestro fiorentino non poteva non avere inciso prepotentemente nel successo dei due capolavori.
Stavolta la sfida era più stimolante: fare da sfondo ad uno sceneggiato meno ambizioso, attraverso sedici puntate, nel moderno format della fiction “mordi e fuggi”. Con i rischi dell’anonimato, ma interpretando se stessa: Gubbio.
Una sfida che invece è stata vinta: non una, ma cinque serie della fiction si sono susseguite dal ’99 al 2006 (con una media di telespettatori di 8 milioni a puntata, più le molteplici repliche), con “mamma Rai” ad affidarsi ai numeri di “Don Matteo” – novello paladino della giustizia ma anche dell’audience della tv pubblica - per contrastare i reality show o altre sceneggiature che la concorrenza ha ciclicamente lanciato sul mercato televisivo.
Resta solo quel piccolo pedaggio da pagare sull’altare dell’immagine: oggi i turisti sono cresciuti, conoscono meglio e cercano Gubbio, ma molti di loro chiedono in primo luogo dove sia “la chiesa di don Matteo” o in piazza Grande – la più maestosa piazza pensile al mondo, sorretta da tre giganteschi archi in pietra - rivedono, nell’austero Palazzo Pretorio, la caserma dei Carabinieri.
Paradossi del piccolo schermo. “Ma i turisti ci sono e continuano ad esserci” dicono da queste parti amministratori ed esercenti, che anzi fanno il tifo per una sesta serie della fiction.
Come dire che Gubbio sa perdonare.
Sperando che i veri “tesori” – scolpiti nei secoli e valorizzati da una steadycam – possano diventare, una volta in loco, la meta più attesa e sorprendente.



Tesina di Giacomo Marinelli Andreoli, presentata per esame di stato accesso Albo Giornalisti Professionisti - 20.2.2007

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